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Intervista a Yashin (di Paolo Andreocci)

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Lev Ivanovich Yashin (1929-1990) è uno dei più grandi portieri di tutti i tempi. Quando l’ho incontrato a Mosca, nel 1982, eravamo alla vigilia di quei Campionati del mondo di calcio che si svolsero in Spagna e che l’Italia vinse, battendo in finale la Germania Ovest. Aveva l’imponenza dei portieri (1,90 d’altezza) e l’autorevolezza del manager sportivo, responsabile delle nazionali di calcio dell’Urss. Non giocava più da undici anni, ma per me era ancora il campione che s’avventava implacabile sui palloni come un Leone (ch’è la traduzione del nome russo Lev). Molti lo chiamavano anche il Ragno Nero, per via della sua caratteristica tenuta nera e per il fatto che sembrava avesse non due, ma molte braccia, come i ragni, appunto. Fu una stella del calcio mondiale. Nel 1963 vinse il Pallone d’Oro. Giocò cinquecento partite nella Dinamo e nella Nazionale dell’Urss fino al 1971, quando smise di giocare. Morì nel 1990 per un male incurabile, a sessantun’anni. L’intervista, pubblicata per la prima volta da Ecos nel 1982, è stata in questa occasione integrata con alcuni appunti che ho ritrovato nel mio block notes.

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Tutto cominciò…
Nel 1943, a Mosca. Avevo quattordici anni. Andai a lavorare come operaio in una fabbrica metalmeccanica di Mosca. Gli uomini erano al fronte per respingere l’aggressione nazista e nelle fabbriche reclutavano donne e ragazzi. Ero piuttosto alto per la mia età e avevo le braccia lunghe. I miei compagni di lavoro dicevano che avevo dei riflessi prontissimi e si divertivano a tirarmi all’improvviso quello che gli capitava tra le mani: bulloni, scatole, panini. E io prendevo al volo tutte queste cose. Poi cominciai a frequentare la società sportiva dell’azienda. Cominciò così.

E quando passò alla Dinamo di Mosca?
Subito dopo la fine della guerra. I dirigenti della Dinamo mi notarono ed entrai nella formazione giovanile….

E non ha mai cambiato squadra?
Mai. Ho giocato solo con la Dinamo e con la Nazionale. So che da voi le cose vanno diversamente. Da voi è normale cambiare casacca…

Andiamo avanti. Giocava nella formazione giovanile…
Sì. Mi consideravano una promessa, ma in quel momento non c’era nessuna possibilità di promozione in prima squadra, perché il portiere titolare era praticamente inamovibile. E allora i dirigenti della Dinamo decisero di trasferirmi, sempre come portiere, alla squadra di hockey su ghiaccio.

Che in Russia è una disciplina sportiva molto importante…
Infatti, è uno sport invernale che amiamo moltissimo. Il calcio, da noi, è uno sport dei mesi caldi. Non si può giocare a pallone sui campi ghiacciati o coperti di neve.

E nella squadra di hockey su ghiaccio ebbe qualche soddisfazione?
Sì. Nel 1953 vincemmo il campionato dell’Urss.

E quando tornò al calcio?
L’anno successivo. Nel 1954 il portiere “inamovibile” della squadra di calcio s’infortunò e fui chiamato a sostituirlo. Avevo venticinque anni.

La sua prima partita?
La prima partita la giocai contro la Torpedo di Stalingrado, una squadra che tutto sommato non ci impensieriva troppo. Non impensieriva noi della Dinamo come squadra, ma io personalmente ero molto emozionato. Era la mia prima partita di campionato e dovevo essere all’altezza del mio predecessore. Il portiere che dovevo sostituire era Aleksej Khomich, un grande portiere, che gli inglesi chiamavano “The Tiger”. Io non dovevo essere da meno, se lui era la Tigre io dovevo essere un Leone sul serio! Beh! La partita era appena cominciata, io stavo lì, tra i pali, tutto emozionato, quando il portiere della Torpedo fece un rilancio lungo, molto lungo. Il pallone volò alto, attraversò tutto il campo, andò a cadere sulla linea della mia area di rigore, rimbalzò... Io mi gettai sul pallone, ma… andai a scontrarmi con un compagno di squadra. Il pallone, beffardo, rotolò in porta: 0-1. Lì per lì pensai d’essermi giocata la carriera. Poi per fortuna i miei compagni segnarono cinque gol e quell’infortunio passò nel dimenticatoio. Anzi, mi faccia un’altra domanda perché a quell’episodio non ci voglio proprio pensare!

E allora rievochiamo un episodio felice…
Fu in Italia, nel 1963. Parai un rigore di Mazzola! Ci incontravamo con la Nazionale italiana e la partita finì 1-1. Per l’Italia segnò Rivera. Avevate giocatori molto interessanti all’epoca. Non solo Mazzola e Rivera, anche Facchetti, Boninsegna, Albertosi. E naturalmente Zoff… gioca ancora mi pare…

Sì gioca ancora.
E’ molto bravo. Un grande portiere.

In quello stesso anno, nel ‘63 giocò anche al Wembley nella squadra del Resto del Mondo contro l’Inghilterra in occasione della partita d’addio di sir Stanley Matthews. In quella partita lei parò tutto. I centomila spettatori inglesi ci rimasero male?
Non credo. Furono molto sportivi. Io feci solo il mio dovere. Se un portiere non para, che portiere è? E gli spettatori apprezzarono la mià lealtà. Secondo me il modo migliore per rendere omaggio a Matthews era di impegnarmi al massimo. E ancor oggi ho moltissimi estimatori in Inghilterra, mi mandano lettere, scrivono articoli…

E quell’anno vinse il Pallone d’Oro... un anno d’oro quel 1963!
Già, proprio così!

Secondo lei, qual è il miglior giocatore del mondo?
Maradona, senza dubbio. Non ce n’è uno che giochi come lui. Una volta Pelè. Oggi Maradona.

Siamo alla vigilia del Campionato del Mondo. Chi vincerà?
L’Italia può vincere. Io spero che nella finale si incontrino L’Italia e l’Urss.

Questo lo dice il diplomatico. Cosa pensa il tecnico?
Penso che vincerà una squadra europea. Giochiamo in Europa, non si può far vincere una squadra sudamericana.

Lei sa che in italia c’è il pallone “Yashin”?
Sì, lo so. A volte capitano cose davvero strane. Ero in Italia, dei ragazzini giocavano per strada. Io passavo di lì per caso e mi ritrovai un pallone tra le braccia. E c’era scritto “Yashin”. Rimasi sorpreso. Avrebbero dovuto avvertirmi per lo meno. Volevo protestare, ma poi lasciai perdere.

Un consiglio di Yashin ai ragazzini appassionati di calcio
Giocate a pallone, ma non per diventare professionisti, non per diventare ricchi, ma per fare dello sport. Certo è un peccato che da voi non ci siano tanti impianti sportivi come da noi e in altri paesi europei.

Comunque riusciamo a sfornare giocatori come Paolo Rossi
Sì, Rossi è bravo, molto bravo. Ma anche noi abbiamo giocatori di quel valore. Con una differenza: che da voi un buon giocatore si compra e si vende a suon di miliardi e da noi no. Da noi non si accumula una fortuna giocando a pallone, ma se si è bravi si può coltivare la propria passione ed essere applauditi negli stadi. Ma c’è un’altra differenza: da noi sono quaranta milioni i giovani e i ragazzi che giocano al calcio, in squadre organizzate, beninteso, nei campi sportivi, e non a palletta, per strada.

La sua partita più bella?
La più bella partita è quella che vinci. Tutte le partite che ho vinto.

E come andò la sua ultima partita?
Benissimo. Giocavo nella squadra dell’Urss contro il Resto del mondo.

E chi vinse?
La partita si concluse con un 2-2. Vinse l’amicizia.

Un’ultima domanda: è più bello essere il campione Yashin o il manager sportivo Lev Yashin?
Il campione!

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Paolo Andreocci

 

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